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Trento, 27 novembre 2010
SAPER COGLIERE I SEGNI DEI TEMPI
di Marco Boato
dal Trentino di sabato 27 novembre 2010

Aprire un dibattito sul “ritorno della politica”, come ha fatto sul Trentino il direttore Alberto Faustini con l’editoriale di domenica 21 novembre, può sembrare quasi una “provocazione”, di fronte ai tassi sempre crescenti di assenteismo elettorale, alla disaffezione diffusa rispetto alla “politica politicante” e allo scollamento tra società e istituzioni. Ma si tratta di una provocazione intellettualmente positiva, che cerca, in un panorama complessivamente desolante, di cogliere in controtendenza i “segni dei tempi”, i sintomi di ciò che forse sta cambiando nelle viscere profonde della società, o almeno in alcuni suoi settori più sensibili, che in questo caso diventano una sorta di “indicatori biologici” dei processi di trasformazione. Poiché in questa discussione a più voci si intrecciano problemi diversi e complessi, provo a sintetizzare per punti le mie riflessioni.

La transizione interrotta dalla Prima alla Seconda Repubblica.

La trasformazione della politica che stiamo ancora vivendo attualmente affonda le sue radici nella crisi seguita alla caduta del muro di Berlino nel 1989, alla fine della guerra fredda e alla conseguente dissoluzione del comunismo sovietico, alla esplosione del vecchio sistema dei partiti (di cui “Tangentopoli” fu solo un epifenomeno, non la causa principale). Iniziò allora un processo di transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica (termini discutibili, ma ormai convenzionali), che non si è mai compiuta pienamente, né sul piano politico né su quello istituzionale e costituzionale. Questa “transizione interrotta” costituisce la ragione di fondo della mancanza di un nuovo sistema politico-istituzionale, che sarebbe dovuto nascere appunto sulle ceneri della Prima Repubblica. La Seconda Repubblica non è mai sorta compiutamente e - per usare una metafora ginecologica - sta abortendo in questa fase storica prima ancora di essere davvero nata.

La mancanza di riforme istituzionali condivise.

Nonostante i ripetuti tentativi (la prima Bicamerale De Mita-Iotti, la seconda Bicamerale D’Alema, la parziale riforma del Titolo V della Costituzione, la fallita riforma dell’intera seconda parte della Costituzione, bocciata nel referendum del 2006, per citare solo le tappe essenziali), il sistema politico italiano non è riuscito a realizzare una convergenza “bipartisan” su un pur urgente e necessario disegno di riforma costituzionale dell’ordinamento della Repubblica (non dei principi fondamentali e della prima parte della Costituzione). Siamo ancora oggi in mezzo al guado, e non si vede neppure in lontananza un approdo credibile.

La riforma elettorale e la delegittimazione reciproca.

Soltanto il referendum elettorale del 1993 (quando ancora questo fondamentale strumento di democrazia diretta non era stato svuotato dalla mancanza del “quorum” di partecipazione dei cittadini) aveva prodotto una trasformazione profonda verso una democrazia dell’alternanza e un rapporto diretto tra elettori ed eletti. Ma una riforma elettorale, pur necessaria e feconda, non era sufficiente e comunque la volontà popolare maggioritaria fu spazzata via con un tratto di penna - e un vero colpo di mano parlamentare - dalla controriforma del 2005-6, la cosiddetta “porcata” (definizione elegante di Calderoli), attualmente in vigore, che ha totalmente espropriato i cittadini di qualunque possibilità di scelta e ha consolidato tanto la partitocrazia quanto la “nomenklatura” dei vertici dei partiti. Alla mancanza di legittimazione reciproca tra i diversi schieramenti (quasi una sorta di “guerra civile ideologica” sopravvissuta in Italia alla guerra fredda) si è aggiunto il venir meno della legittimazione popolare della rappresentanza politica. Un vero e proprio disastro per la partecipazione politica, di cui si sentono ogni giorno di più le terribili conseguenze per l’estraneazione dei cittadini dalla politica.

La questione del mancato “ricambio generazionale”.

Pur essendo personalmente contrario ad una certa demagogia populistica sottesa alla polemica sulla “rottamazione” (dei propri dirigenti nel Pd) lanciata dal sindaco di Firenze Renzi, non c’è dubbio che la questione del mancato “ricambio generazionale” (in tutti gli schieramenti) costituisca in Italia un blocco micidiale ai processi di cambiamento politico. In nessun altro paese al mondo, chi viene sconfitto continua a rimanere non tanto in politica (che è possibile), quanto alla leadership del proprio partito o della propria coalizione, col risultato che magari cambiano i nomi dei partiti (in una girandola vorticosa), ma non quelli della classe dirigente, e passano non solo gli anni, ma i decenni, senza che cambi la classe politica. La rivolta contro tutto questo è uno degli “indicatori biologici” della spinta al cambiamento e della ricerca, da parte delle nuove generazioni, di trovare un proprio spazio nella politica, non attraverso forme patetiche di cooptazione dall’alto, come spesso succede attualmente per i pochi giovani che riescono ad emergere.

La “casta” e l’ “anticasta”: una alternativa è possibile.

Il clamoroso successo del libro “La casta” ha avuto l’effetto paradossale di aumentare ancora di più il distacco dalla politica e la paralisi dei processi di ricambio. Giovani amministratori esponenti dell’associazione dei “Comuni virtuosi” e del movimento “Stop al consumo del suolo”, come di altre forme dell’associazionismo ambientalista ed ecologista, hanno dato vita ad un tentativo molteplice di far conoscere - anche col libro L’anticasta - una realtà diversa del nostro paese, che non emerge nei mass media, ma che è assai più vasta e diffusa di quanto non si creda, e l’hanno chiamata semplicemente “l’Italia che funziona”. Anche questo è uno degli “indicatori biologici” di un diverso processo di “ritorno alla politica”: non attraverso i grandi scontri ideologici o il protagonismo televisivo (che a volta affligge anche certi personaggi di sinistra, sulle orme del berlusconismo declinante), ma in diretto rapporto con i problemi concreti delle diverse realtà territoriali: l’urbanistica rispettosa dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile, la gestione responsabile dei rifiuti, il risparmio energetico e le energie rinnovabili con il rifiuto del nucleare, l’agricoltura biologica e la lotta contro gli Ogm, la difesa dell’acqua come bene pubblico, la promozione del trasporto pubblico e così via. E’ una sorta di “politica sommersa”, ma tutt’altro che clandestina, che segna l’inizio di una svolta culturale, oltre che sociale e politica. Ma al vertice delle istituzioni e del predominante sistema dei partiti - pur collassato - c’è finora come un tappo che ostacola l’emergere in primo piano di questa politica virtuosa e di questa società virtuosa (non tutta la “società civile” lo è, essendo troppo spesso colonizzata da forme di clientelismo e di subalternità a piccoli e grandi potentati).

L’Italia e il Trentino: analogie e diversità.

Anche il Trentino ha grossi problemi di ricambio politico e generazionale, anche in Trentino c’è spesso troppa sordità istituzionale a quanto di positivo - anche se talora in modo magmatico - si muove nella società civile e nei diversi territori, spesso in relazione a problematiche specifiche, ma anche con la capacità di rapportarsi ai grandi problemi più generali (all’insegna dell’”agire localmente, pensare globalmente”). Ma non c’è dubbio - per chi sia abituato a frequentare spesso non solo Roma ma anche altre realtà italiane - che finora i problemi del Trentino sono incommensurabilmente inferiori a quelli che si possono riscontrare nel resto dell’Italia, non solo al Centro- Sud, ma anche nel Nord-Est e nel Nord-Ovest. E mi riferisco non solo alla politica propriamente detta, ma anche al tessuto sociale e culturale nel confronto tra il Trentino e il resto d’Italia (anche questo pur assai diversificato, com’è ovvio). Non credo che tutto ciò sia sufficiente per parlare del Trentino come una sorta di “laboratorio” (o di “cantiere”...) per l’Italia. Ma sarebbe sufficiente che si sapessero cogliere le aspirazioni giovanili, le istanze profonde di cambiamento, i nuovi orizzonti delle sfide ecologiche e socio-economiche, mettendo in gioco una politica autentica e non “politicante”, per verificare che, sì, un “ritorno della politica” è possibile, ed è anche davvero auspicabile.

 

  Marco Boato

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